La successione dell’imprenditore: il patto di famiglia

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La “successione” dell’imprenditore e la tempestiva pianificazione della stessa sono uno dei punti focali della vita di un’azienda, a prescindere dal fatto che essa sia un’impresa individuale o una società.

Con la legge n. 55 del 14 febbraio 2006, in vigore dal 16 marzo 2006, sono stati introdotti nel codice civile gli articoli da 768-bis a 768-octies, che regolano il patto di famiglia, ed è stato modificato l’art. 458, in materia di patti successori.

Il nuovo patto di famiglia consente all’imprenditore di regolare in “via anticipata” la successione nella propria azienda o nella società, nel pieno rispetto dell’autonomia negoziale e fuori dalla rigidità del divieto dei patti successori.

Il legislatore ha inteso il patto di famiglia come uno strumento per il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie ai discendenti in linea retta.

Il patto di famiglia è, dunque, un contratto con il quale l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie le trasferisce, in tutto o in parte, a uno o più discendenti, con il consenso del coniuge e di tutti quelli che sarebbero legittimari (eredi necessari) se la successione si aprisse in quel momento.

Il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie ha effetto immediato e definitivo, quindi non può più essere messo in discussione neanche dopo la morte del disponente, salvo alcune eccezioni espressamente indicate dalla legge.

Il trasferimento delle partecipazioni societarie, anche nell’ambito del patto di famiglia, deve avvenire nel rispetto delle modalità e dei limiti previsti dalla legge, dai patti sociali o dallo statuto per le differenti tipologie di società.

Se l’azienda trasferita è gestita nella forma di impresa familiare, sono fatti salvi i diritti dei familiari partecipanti all’impresa relativamente agli utili e agli incrementi dell’azienda (art. 230-bis del codice civile), che devono essere liquidati direttamente dall’imprenditore e non vanno confusi con la liquidazione a essi eventualmente spettante nell’ambito del patto di famiglia, se essi sono anche legittimari.

L’azienda o le partecipazioni societarie oggetto del patto di famiglia non rientrano nella successione al momento della morte del disponente, e non è ammessa l’azione di riduzione nei confronti dei discendenti beneficiari del patto di famiglia, dal momento che quest’ultimo deve intendersi come definitivo.

La deroga al divieto dei patti successori introdotta nel nostro ordinamento deve intendersi come uno strumento eccezionale, che può essere utilizzato solo con l’accordo di tutti gli interessati.

Il primo comma dell’art. 768-quarter c.c. prevede che al contratto debbano partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione dell’imprenditore.

Ciò significa che il patto di famiglia può essere stipulato solo se il disponente raggiunge un accordo con tutti i legittimari relativamente al trasferimento dell’azienda (o delle partecipazioni societarie) e alla liquidazione dei soggetti non beneficiari del patto di famiglia. In mancanza di accordo unanime, il patto di famiglia non può essere stipulato, quindi questo strumento non può mai essere utilizzato per privare i legittimari dei diritti riconosciuti dalla legge, senza il loro consenso.

Alla morte dell’imprenditore, i legittimari che non hanno partecipato al patto di famiglia, conservano i loro diritti sulla successione, ma non possono chiedere una quota dell’azienda o delle partecipazioni societarie, ormai uscite dal patrimonio del defunto. Essi hanno diritto a una somma di denaro corrispondente al valore della loro quota, quale risultante dal patto di famiglia (il valore, dunque, è quello determinato dai partecipanti al patto, e non può essere messo in discussione). Se alla morte dell’imprenditore ci sono nuovi figli (anche figli naturali riconosciuti o accertati dopo la stipula del patto) o c’è un nuovo coniuge, occorre ricalcolare le quote di legittima spettanti a ciascuno, e chi aveva ricevuto più del dovuto, sia esso l’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni societarie, oppure gli altri partecipanti al patto, deve versare una somma di denaro ai legittimari sopravvenuti per riequilibrare la situazione.

Chi riceve l’azienda o le partecipazioni societarie deve liquidare gli altri legittimari pagando loro una somma corrispondente alla quota di eredità che gli spetterebbe, a meno che questi vi rinunzino in tutto o in parte. E’ anche possibile pattuire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura.

Trattandosi di valutazione rientrante nella sfera dell’autonomia privata, in quanto rimessa alla concorde volontà dei partecipanti al contratto, considerata l’importanza delle conseguenze che ne derivano, appare indispensabile che essa sia supportata dalla redazione di una perizia di stima da parte di un esperto.

L’assegnazione dei beni, a titolo di liquidazione della quota di legittima, può essere disposta con successivo contratto -che sia espressamente dichiarato collegato al primo- e purchè vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituti.

Il contratto con il quale viene regolamentato il passaggio dell’azienda o delle partecipazioni sociali deve, a pena di nullità, essere concluso per atto pubblico (è necessario il notaio).

Parti del contratto sono:

–         il disponente, che attribuisce gratuitamente l’attività d’impresa di cui è titolare ovvero partecipazioni sociali;

–         il beneficiario o i beneficiari dell’attribuzione che, per espressa disposizione normativa, devono essere discendenti del disponente (in pratica, i figli legittimi, naturali o adottivi ovvero i nipoti discendenti in linea retta, con esclusione degli ascendenti, dei collaterali e del coniuge)

Il Legislatore ha previsto che i partecipanti possano impugnare il patto di famiglia, e quindi chiederne l’annullamento per vizi del consenso (errore, violenza e dolo), entro il termine di un anno (art. 768-quinquies c.c.), in luogo dei cinque anni ordinariamente previsti. Per l’impugnazione, a parte questo, si applica la disciplina generale prevista per i contratti. L’annullamento del contratto può essere chiesto entro un anno dal giorno in cui è stato scoperto l’errore o il dolo, oppure è cessata la violenza.

Il patto di famiglia può essere sciolto con un nuovo contratto, stipulato dai medesimi partecipanti e sempre nella forma di atto pubblico. In questo caso, l’azienda o le partecipazioni societarie ritornano al disponente, e i legittimari devono restituire ciò che avevano ricevuto dall’assegnatario.

Il patto di famiglia potrebbe essere sciolto anche per recesso di uno dei contraenti, con dichiarazione certificata da un notaio, se nel patto è stata espressamente prevista questa possibilità.

Le controversie relative al patto di famiglia sono soggette a un tentativo obbligatorio di conciliazione.

In particolare il patto di famiglia può essere equiparato a una donazione modale, cioè a una donazione in cui il donatario ha l’onere di versare una somma di denaro (o trasferire beni in natura) agli altri legittimari. Questi ultimi, dunque, sono destinatari di una donazione indiretta da parte del disponente. Dal primo gennaio 2007, quindi, i trasferimenti di aziende o rami di azienda, di quote sociali e di azioni a favore dei figli e degli altri discendenti, nell’ambito dei patti di famiglia sono esenti dall’imposta di donazione e successione. Se l’azienda comprende beni immobili, il trasferimento è esente anche dalle imposte ipotecarie e catastali che dovrebbero gravare su di essi. L’esenzione, però, si applica solo in presenza di alcune condizioni, espressamente indicate dalla legge. Prima di tutto, se si tratta di azioni o quote di srl l’esenzione si applica solo alle partecipazioni che consentono al beneficiario di acquisire o integrare il controllo della società attraverso la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria. Nessuna limitazione è invece prevista per le società di persone (s.n.c., s.a.s. e società semplici), quindi sembra che l’esenzione dalle imposte sia concessa anche per le partecipazioni che non consentono al beneficiario di acquisire la maggioranza. Ciò è pienamente giustificato, peraltro, dalle peculiari caratteristiche delle società di persone, nelle quali le decisioni più importanti devono essere prese all’unanimità e pertanto risulta improprio parlare di una posizione di controllo della società.

Inoltre il beneficiario deve impegnarsi espressamente a proseguire nella gestione dell’azienda, o a mantenere il controllo della società, per almeno cinque anni dopo il trasferimento, a pena di decadenza dall’agevolazione. A tal fine il beneficiario deve rendere un’apposita dichiarazione nell’atto con il quale viene stipulato il patto di famiglia. In caso di mancato rispetto dell’impegno assunto, sarà applicata l’imposta di donazione nella misura ordinaria (4%), ed eventualmente le imposte ipotecarie (2%) e catastali (1%) sugli immobili, oltre alla sanzione amministrativa pari al trenta per cento dell’importo non versato e agli interessi di mora.

La necessità che, per godere dell’esenzione fiscale, il trasferimento di azioni o quote di s.r.l. abbia per oggetto una partecipazione che consente al beneficiario di acquisire o integrare il controllo della società, può creare qualche problema, nell’ambito del patto di famiglia, quando il beneficiario non è l’unico. L’unica possibilità per godere dell’esenzione sembra essere quella che il pacchetto di controllo della società sia intestato ai discendenti in modo indiviso, anche essi diventino comproprietari dell’intera partecipazione di controllo, nominando poi un rappresentante comune nei confronti della società. La divisione delle quote o azioni potrà dunque avvenire solo dopo cinque anni dal trasferimento. Grazie all’esenzione introdotta dalla legge finanziaria per il 2007, il trasferimento a favore dei discendenti avviene in esenzione dall’imposta, in presenza dei requisiti sopra indicati.

Più complesso è invece il discorso per quanto riguarda la liquidazione ai legittimari. Come abbiamo visto, il patto di famiglia può essere equiparato a una donazione modale, cioè a una donazione in cui il beneficiario ha l’onere di versare una somma di denaro (o trasferire beni in natura) agli altri legittimari. Ciò significa che i legittimari che ricevono la liquidazione sono destinatari di una donazione indiretta da parte del disponente. Possiamo infatti escludere che essi ricevano una donazione da parte del beneficiario del patto di famiglia, dato che egli liquida i legittimari in esecuzione di un obbligazione assunta con il disponente nel patto di famiglia. E’ come se il padre dicesse al figlio: “Io ti lascio l’azienda, ma tu devi dare questa somma ai tuoi fratelli”. Trattandosi di una donazione indiretta da parte del disponente, la liquidazione dei legittimari è tassata con l’aliquota prevista per la donazione ai discendenti o al coniuge (4%), e può inoltre beneficiare della franchigia di un milione di euro per ciascuno dei legittimari.

L’art.58 comma 1 del T.U.I.R. sciogliendo l’annoso interrogativo se la morte dell’imprenditore debba o meno far emergere le plusvalenze latenti di azienda, determina un’integrale detassazione del passaggio generazionale ai fini delle imposte dirette.

La stessa norma aggiunge che tale principio resta valido “anche qualora, a seguito dello scioglimento entro cinque anni dall’apertura della successione della società esistente tra gli eredi, la predetta azienda resti acquisita da uno solo di essi”.

Nel caso in cui l’assegnatario sia già di per sé un imprenditore, il trasferimento dell’azienda viene invece a configurare una sopravvenienza attiva, secondo il disposto dell’art.88 c.3 D.P.R. 917/1976.

In particolare, se il donatario prosegue l’attività del cedente, le eventuali plusvalenze verranno tassate all’interno del regime dell’impresa stessa; in caso contrario, esse ricadranno nel regime dei redditi diversi.

Nel caso di cessione di azienda da parte di imprenditore individuale, purchè l’azienda sia posseduta da almeno cinque anni, vi è la possibilità di ricorrere alla tassazione separata.

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